lunedì 14 gennaio 2013

This day so sweet, it will never come again

Moonrise Kingdom
di Wes Anderson - 1h34” – 2012
cast Jared Gilman, Kara Hayward, Frances McDormand, Bruce Willis, Bill Murray, Edward Norton












Di Wes Anderson ho visto solo i Tenenbaum, quindi è un po' poco per farmi un' idea precisa sul regista.
I Tenenbaum mi avevano lasciato un po' diffidente.
Sì, ok ho passato due ore tutto sommato piacevoli. Ero sotto il piumone, fuori continuava a voler essere Febbraio, e quando è partita These Days di Nico mi è venuta una gran nostalgia di non so cosa.
Il mio animo autistico è rimasto ammirato dalla composizione simmetrica delle scene, dai color e dalle luci di Robert Yeoman, dalla colonna sonora da spleen.

Però c'era qualcosa in quella storia, come in questa, che mi fa restare sulla difensiva.

Anche in Moonrise Kindom l'atmosfera è arancione e sognante come in questa foto di Cindy Sherman, forse l'unica in cui è assente quel sapore grottesco e ambiguo che ti fa fermare un attimo a riflettere per capire se vuoi sputare o mandare giù.

Francoise Hardy ha preso il posto di Nico. E con tutto il rispetto per la frangetta dell'Hardy, le preferisco stranamente la bionda.
C'è anche Frances McDormand con le sue fossette agrodolci agli angoli della bocca e che stimo, in quanto moglie di uno dei fratelli Coen e perché presente in Fargo e in L'uomo che non c'era (non necessariamente in quest'ordine).

Forse quello che mi perplime è la presunzione della regia di far come se fosse poesia, quando invece ci racconta una fiaba.
Piacevole, rassicurante e confortante come la certezza che andrà tutto bene.
Ma anche falsa e piatta, come una superficie opaca su cui non si rispecchia alcun'ombra di dubbio.

martedì 8 novembre 2011

Give me a place to be

This must be the place
di Paolo Sorrentino – 1h58” – 2011
cast Sean Penn, Frances McDormand














È un musicista, ma non suona.
Si aggira con un trolley, ma non prende l'aereo.
Vive di royalties a Dublino, dove è sposato con la stessa donna da vent’anni.

No no, non sto parlando di Bono Vox, lui l’aereo lo prende e si aggira solo con borsone da viaggio LV.

È tormentato dal fatto che due ragazzini si siano suicidati per i testi delle sue canzoni.
Non parla più con il padre, che sembra non avergli perdonato il rossetto e il parrucco.

No, non è Tiziano Ferro. Con il padre tutto bene, e la gente riesce a sopravvivere anche ai suoi testi.

Cheyenne è una rockstar depressa, o annoiata (secondo la definizione della moglie).
Fino a quando non arriva una botta di vita: il padre muore.
Tocca andare al funerale.
A New York.
E provare a riscattarsi agli occhi vitrei del caro estinto, riprendendo la missione a cui il padre aveva dedicato l’intera vita: ricercare il criminale nazista colpevole di averlo umiliato in campo di concentramento.

Mi fermo qui: niente spoiler.
Anche perché è facile immaginare come finirà questo film.
Ma come? È il primo road movie ammmericano di Sorrentino!
Ci sarà quel colpo di scena che mi farà uscire dalla sala appagata e contenta di aver pagato i miei 5 euro e 50 di biglietto.

Sì sì certo.
David Byrne che canta per intero This Must Be The Place vale la cifra.

Però manca qualcosa.
Come Cheyenne, la sceneggiatura è apatica.
I paesaggi e i colori provano a scuoterla.
La musica tenta di vomitarle addosso del pathos.
Ma lei non reagisce.
Procede con inerzia e scivola senza iniziativa verso un finale pigro.
Ha rotelline da trolley anche lei.

lunedì 17 gennaio 2011

From out of nowhere

Nowhere Boy
di Sam Taylor-Wood – 1h38” – 2009 
cast Aaron Johnson, Kristin Scott Thomas, Thomas Sangster, Anne-Marie Duff Sam Bell










You come from out of nowhere
My glance turns to a stare

Dal nulla.
Dalla Liverpool degli anni cinquanta.
Dopo la guerra, ma prima della rivoluzione culturale, musicale, sessuale.
Prima dei Beatles, prima della Strega, John Lennon viene da qui.
Dall’incrocio di un bivio.
Che è culturale: tra una società rigida e austera, sopravvissuta alla seconda guerra mondiale, e una società indulgente e vertiginosamente pieghevole, sulle note del rock and roll.
Ma è anche un bivio affettivo: tra una zia, Mimi, algida e severa, e una madre, Julia, instabile e appassionata. E' lei che incoraggia John a suonare, regalandogli un banjo, facendogli ascoltare Elvis, ed insegnandogli il significato della parola rock and roll.

Le due strade si incrociano, e ne formano una unica, long and winding.


Sam Taylor-Wood ci racconta i primi tratti.
Io neanche quelli.
Guardatevi il film. Ricordatevi che appartiene al genere biografico. Lineare ed impreciso. A volte vacilla. Lo reggono in piedi l’ottima colonna sonora e la bravura degli attori.

Mi è piaciuto Aaron Johson: non assomiglia molto a John Lennon, ma è bravo ad interpretarne il carattere ambivalente, irriverente e docile, tormentato e ambizioso, violento e amorevole.
Il modo in cui aggrotta la fronte, assomiglia al tuo.
Mi è venuta una gran voglia di farti incazzare, solo per vederti increspare le sopracciglia in quel modo.
Te l’ho anche scritto.
Come al solito, mi hai risposto in maniera acuta.
E quella che ha aggrottato le sopracciglia, sono stata io.

Ah dimenticavo: acconciature e colletti risvoltati in alto.
Questa la capisce solo Matte.